Concerto in omaggio alla visita di Benedetto XVI
Tutto bianco
omaggio a Bill Congdon
18 aprile 2007 ore 21
concerto omaggio alla visita di Papa Benedetto XVI
Associazione Laude Novella
Sei chitarre per il papa
Di Maria Teresa Mazzilli e Gaetano Troccoli (Pavia)
La sera del 16 aprile, giorno dell’80° compleanno di Sua Santità Benedetto XVI, a Pavia nella basilica agostiniana di San Pietro in Ciel d’oro (ore 21) si potrà assistere ad un evento musicale promosso dall’Associazione Laude novella e ispirato ad un libro speciale, intitolato “Il Sabato della storia” (edito nel 1998 da The Foundation for Improving Understanding of the Arts e da Jaca Book). Il concerto, intitolato “Tutto bianco” (dal titolo di un quadro di William Congdon), sarà eseguito dal sestetto di chitarre Concordia C(h)ordis affiancato per l’occasione dal soprano Antonella Gianese.
Per l’esperienza innovativa che ci propone, l’Ensemble Concordia C(h)ordis trae spunto proprio da quel libro, che crea una specie di “dialogo involontario” di grande suggestione tra due voci tanto diverse quanto armoniche: quella dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, con alcune riflessioni sul Venerdì e Sabato santo, e quella del pittore americano William Congdon (1912-1998), Action painter che fu uno dei più significativi interpreti della School of New York, stabilitosi in Italia dalla seconda guerra alla sua morte, protagonista veramente significativo della cultura pittorica del nostro territorio, originalissimo per la profonda sacralità del suo approccio all’arte.
Meditazione e arte in quel libro si incrociano attorno ad uno dei punti nodali della fede cristiana: il mistero che - una volta nella storia del mondo, ogni anno nella storia della Chiesa - si incarna nella Settimana santa. Mistero di fede per i cristiani, e però anche evento storico che continua a interrogare pure i non credenti. Con parole e immagini da leggersi con gli occhi e col cuore, nel volume del ’98 Teologia e Pittura scandagliano, con gli strumenti loro propri, quel desiderio di compiutezza che qualunque uomo seriamente appassionato al proprio destino non può non riconoscere in sé. Si tratta di un sentimento di nostalgia di Dio, che nell’attesa e nel silenzio del Sabato santo profeticamente intravede il significato del tempo: un Dio, amante infinito, che entra nella storia e inaspettatamente “fa nuove tutte le cose”.
La sfida del concerto dei Concordia C(h)ordis è di tradurre questa volta in musica, da gustare col senso dell’udito e con le “corde” del sentimento, l’esperienza di “Bellezza” che il Sabato santo suscita, aggiungendo al duetto Teologia-Pittura del libro del ’98
“Tutto bianco” s’intitola l’omaggio a William Congdon e a Papa Benedetto XVI offerto dal sestetto di chitarre Concordia C(h)ordis (formato da Massimo Brambilla, Paola Ghiringhelli, Elisa Lamarca, Cristina Gaiaschi, Gaetano Troccoli e Sandro Bettazzi), con la partecipazione del soprano Antonella Gianese e infine, nell’ultimo brano in programma (che mette in musica l’antica preghiera mariana del Memorare), del controtenore Davide Fior e della violoncellista Marta Fornasari.
Il programma, oltre ad una parte tradizionale che comprende autori come Bach, Haendel, Villa Lobos, prevede brani scritti per l’occasione da tre compositori pavesi (G. Albini, A. Bologna, G. Troccoli). Essi si sono cimentati nel tentativo di riproporre con i suoni la matericità profondamente espressiva che investe l’occhio di chi osservi i quadri di Congdon, legata alla ricerca, certamente personale ma anche di tutta l’umanità, di un segno e di una Presenza che si manifesti nello scorrere del vivere quotidiano.
Giovanni Albini, autore della composizione Tutto Bianco – omaggio a William Congdon
per soprano, voce recitante e sestetto di chitarre su sette quadri di William Congdon, così descrive la sua opera: “Non conoscevo William Congdon. L’ho scoperto inaspettatamente. Nella passione di un amico (Gaetano, che non smetterò di ringraziare), e poi nella materia dei suoi quadri, in quel suo Tutto Bianco, quel «gesto del nulla che è tutto». Lì si è rivelato un incontro con la mia Musica, e ho capito la luminosità (la fede?) che pervade anche il nero più scuro dei suoi quadri. Con Congdon ho condiviso (o forse spero di condividere) più di quanto pensassi: i silenzi della bassa milanese, la nebbia (che più di ogni altra cosa sempre mi fa sentire a casa), il piacere e la forza delle forme semplici, che emergono dal nulla e possono disegnare qualunque cosa. E infine l’introspezione (continua), la conversione (con la serenità e l’immagine di speranza, come nel Cristo di Bozzetto, che nutre la terra), e il completo abbandono ad un artigianato costante e appagante nel calore della sua quotidianità. Ho pensato ad una Musica che vivesse sulla carta, nella geometria dei contrasti del bianco e del nero, e che trasfigurasse nell’uniformità di idiomi decontestualizzati e fluttuanti che, come più mi piace fare, si ripetono lenti in meccanismi semplici, percepibili con facilità nel gioco di aspettative che delineano. E ancora la tematica religiosa, che si perde in canti sospesi nell’aria, nella felice contemplazione ultima a cui forse William era destinato.”
Differente il linguaggio di Antonio Bologna, che così propone Il sabato della storia – per 6 chitarre e soprano: “La composizione è una narrazione simbolica dello scorrere del tempo. Sei chitarristi, identificati in partitura con i nomi dei giorni della settimana da lunedì a sabato, dispiegano dei frammenti musicali che si richiamano, tentano di ordinarsi, esprimono un desiderio di compiutezza. Ma una risposta non riesce a prendere forma: ogni singolo episodio-tentativo riprende quasi a passacaglia gli elementi dei vari giorni, li organizza, li impone, li assomma, cerca il dialogo, ma sfocia inevitabilmente in un silenzio interrogativo. Eppure l'attesa esprime chiaramente che una risposta è possibile. L'attesa si fa profetica: è il senso culminante del "Sabato della Storia", fatto insieme di attesa, mendicanza, silenzio. La risposta, dunque arriva, ma si manifesta come "inaspettata e altra": la voce di un soprano canta le parole “idu kaina poio panta” che riprende il versetto originale in greco dell'Apocalisse, nel quale Cristo Salvatore acclama: "ecco, io faccio nuove tutte le cose" [Ap. 21, 5]. Da questo momento in poi tutto suona nuovo, eppure nulla è cambiato: le giornate continuano a susseguirsi come prima ma, alla luce dell'evento storico scandito dalla voce, assumono una parvenza compiuta e aperta. Il gioco si infittisce ed è tutto teso verso il compimento definitivo del "Sabato della Storia", una "Domenica senza tramonto" in cui tutto, anche il tempo, risulta eternamente ricapitolato.”
Infine Gaetano Troccoli con Cities (per sei chitarre e soprano ad libitum) affronta il periodo dell’arte creativa di Congdon in cui egli rappresenta le città mete dei suoi viaggi, in particolare New York, Bombay, Paris e Assisi. In questo ordine procede la composizione così descritta dall’autore: “Le prime tre parti sono basate su un’idea armonica che riflette la presenza inquietante del “sole nero” nel quadro New York City; questa, pur nella differente rappresentazione musicale delle tre città, risulta essere il collante che unisce e traccia come una sorta di percorso spirituale che sfocerà infine in Assisi. Ognuna delle tre città poi ha caratteristiche sue proprie, sia musicali che strutturali. Nell’omonimo brano New York è rappresentata dalla sovrapposizione di elementi tematici e ritmici che incrociandosi e confondendosi ricreano un’atmosfera di caoticità e multidirezionalità, determinata dalla peculiarità di ogni singolo esecutore che è come una linea che attraversa e ripercorre il tracciato dell’intera musica. All’interno di questa situazione magmatica ad un certo punto, quasi un raggio di luce, emerge un nostalgico canto blues, cifra geografica e culturale, che comunque viene poi riassorbito dall’intreccio globale. Bombay riprende la suddivisione del quadro di Congdon tramite una sorta di raga (con una struttura quasi improvvisativa nella prima parte sfociante in una sezione più ritmica e percussiva) che viene punteggiato da macchie armoniche contrastanti il tessuto musicale e che rappresentano quella sorta di larve bianche presenti nel quadro stesso. Paris è pensato come una sorta di valzer musette dai toni inquietanti e dall’accompagnamento estremamente straniante sia per il ritmo inusuale (e contrastante il normale andamento in tre di questo genere di composizione) sia per il tessuto armonico che appunto riprende l’accordo iniziale di New York. Assisi è l’unica parte che si distacca completamente dal resto essendo costruito in tutto, tranne che per la piccola sezione iniziale, sull’inno gregoriano Crux fidelis. La melodia di questo inno è utilizzata inizialmente nella sua sola parte melodica, a prescindere dal ritmo originale, così risulta di difficile riconoscibilità, anche se lascia nell’ascoltatore l’idea di un già sentito che via via si svela fino ad arrivare al canto finale dell’inno stesso intonato dal soprano. La scelta di questo inno deriva dalla definizione di Assisi data da Congdon quale un “osso”, un nulla su cui tutto si costruisce. E così quel nulla, anche per il numero impressionante dei crocefissi da lui dipinti, è divenuta la croce.”
Sarà – c’è da scommetterci – una musica lucida ed essenziale, come il magistero di Papa Benedetto XVI, e al contempo sarà appassionata, almeno tanto quanto lo sono le opere del pittore da cui è ispirata, personaggio titanico nel suo voler guardare fino in fondo il dolore della sua umanità ferita, dal “sole nero” delle vedute newyorchesi degli anni ’40, al buco nero che sembra voler inghiottire le città del mondo, al “consumarsi” della conversione di Assisi nella lunga serie dei crocifissi, fino all’Altersstil. Il suo linguaggio appare “fatto nuovo”, fino alla poetica del “Tutto bianco”: il colore si trasfigura in una luce abbagliante, e pur sempre dolorosa per la quasi costante presenza di un sottofondo struttivo che rievoca la croce, o per la sintesi oppositiva di una linea sottile, di un contrasto, di un pur essenziale rimbalzo nero. In un legame simbiotico tra arte e spiritualità, tra parola e immagine, con un nuovo linguaggio astratto, che rifugge dalle iconografie tradizionali ed è basato sul valore pregnante dei segni, l’arte di Congdon ci mostra per immagini, come Ratzinger espone con le parole, che la verità comprende il dolore e che la bellezza della verità può essere trovata solo con l’accettazione del dolore stesso.
Il Concerto desidera comunicare l’esperienza di una ricerca della Bellezza nel quotidiano, condotta con la semplicità di un artigiano e con la sacralità di una preghiera, ma anche con la dignità testarda dell’uomo che, come Sant’Agostino, non si vuol rassegnare a “spendere la vita in modo convenzionale”.
Lo spettacolo verrà ripetuto a Vigevano il 18 Aprile, alle ore 21 nella chiesa di S. Maria del Popolo.
VEDI LA LETTERA AL PAPA BENEDETTO XVI DEL CONCERTO IN OCCASIONE DEL SUO COMPLEANNO
LE PRESENTAZIONI DEGLI AUTORI DEI TRE BRANI DEL CONCERTO
CITIES (2007) – Gaetano Troccoli (per sei chitarre e soprano ad libitum)
Ognuna delle tre città poi ha caratteristiche sue proprie, sia musicali che strutturali.
New York è rappresentata dalla sovrapposizione di elementi tematici e ritmici che incrociandosi e confondendosi ricreano un’atmosfera di caoticità e multidirezionalità, determinata dalla peculiarità di ogni singolo esecutore che è come una linea che attraversa e ripercorre il tracciato dell’intera musica. All’interno di questa situazione magmatica ad un certo punto, quasi un raggio di luce, emerge un nostalgico canto blues, cifra geografica e culturale, che comunque viene poi riassorbito dall’intreccio globale.
Bombay riprende la suddivisione del quadro di Congdon tramite una sorta di raga (con una struttura quasi improvvisativa nella prima parte sfociante in una sezione più ritmica e percussiva) che viene punteggiato da macchie armoniche contrastanti il tessuto musicale e che rappresentano quella sorta di larve bianche presenti nel quadro stesso.
Paris è pensato come una sorta di valzer musette dai toni inquietanti e dall’accompagnamento estremamente straniante sia per il ritmo inusuale (e contrastante il normale andamento in tre di questo genere di composizione) sia per il tessuto armonico che appunto riprende l’accordo iniziale di New York.
Assisi è l’unica parte che si distacca completamente dal resto essendo costruito in tutto, tranne che per la piccola sezione iniziale, sull’inno gregoriano Crux fidelis. La melodia di questo inno è utilizzata inizialmente nella sua sola parte melodica, a prescindere dal ritmo originale, così risulta di difficile riconoscibilità, anche se lascia nell’ascoltatore l’idea di un già sentito che via via si svela fino ad arrivare al canto finale dell’inno stesso intonato dal soprano. La scelta di questo inno deriva dalla definizione di Assisi data da Congdon quale un “osso”, un nulla su cui tutto si costruisce. E così quel nulla, anche per il numero impressionante dei crocefissi da lui dipinti, è divenuta la croce.
Giovanni Albini
Tutto Bianco – omaggio a William Congdon
per soprano, voce recitante e sestetto di chitarre
su sette quadri di William Congdon
Note
Non conoscevo William Congdon. L’ho scoperto inaspettatamente. Nella passione di un amico (Gaetano, che non smetterò di ringraziare), e poi nella materia dei suoi quadri, in quel suo Tutto Bianco, quel «gesto del nulla che è tutto». Lì si è rivelato un incontro con la mia Musica, e ho capito la luminosità (la fede?) che pervade anche il nero più scuro dei suoi quadri.
Con Congdon ho condiviso (o forse spero di condividere) più di quanto pensassi: i silenzi della bassa milanese, la nebbia (che più di ogni altra cosa sempre mi fa sentire a casa), il piacere e la forza delle forme semplici, che emergono dal nulla e possono disegnare qualunque cosa. E infine l’introspezione (continua), la conversione (con la serenità e l’immagine di speranza, come nel Cristo di Bozzetto, che nutre la terra), e il completo abbandono ad un artigianato costante e appagante nel calore della sua quotidianità.
Ho pensato ad una Musica che vivesse sulla carta, nella geometria dei contrasti del bianco e del nero, e che trasfigurasse nell’uniformità di idiomi decontestualizzati e fluttuanti che, come più mi piace fare, si ripetono lenti in meccanismi semplici, percepibili con facilità nel gioco di aspettative che delineano. E ancora la tematica religiosa, che si perde in canti sospesi nell’aria, nella felice contemplazione ultima a cui forse William era destinato.
Descrizione dell’opera.
L’opera è suddivisa in sette tempi (ognuno abbinato ad un quadro) e tre letture:
1. Introduzione - sestetto
2. Introito – sestetto e soprano
lettura dai diari di Congdon
3. Neve, e aria – sestetto e soprano
4. Kyrie – sestetto e soprano
lettura dai diari di Congdon
5. Nebbia – duo e soprano
6. Comunio – quartetto e soprano
lettura dai diari di Congdon
7. Finale - sestetto
Il sabato della storia – Antonio Bologna
Per 6 chitarre e soprano
La composizione è una narrazione simbolica dello scorrere del tempo.
Sei chitarristi, identificati in partitura con i nomi dei giorni della settimana da lunedì a sabato, dispiegano dei frammenti musicali che si richiamano, tentano di ordinarsi, esprimono un desiderio di compiutezza. Ma una risposta non riesce a prendere forma: ogni singolo episodio-tentativo riprende quasi a passacaglia gli elementi dei vari giorni, li organizza, li impone, li assomma, cerca il dialogo, ma sfocia inevitabilmente in un silenzio interrogativo.
Eppure l'attesa esprime chiaramente che una risposta è possibile. L'attesa si fa profetica: è il senso culminante del "Sabato della Storia", fatto insieme di attesa, mendicanza, silenzio.
La risposta, dunque arriva, ma si manifesta come "inaspettata e altra": la voce di un soprano canta le parole "idu kaina poio panta" che riprende il versetto originale in greco dell'Apocalisse, nel quale Cristo Salvatore acclama: "ecco, io faccio nuove tutte le cose".
Da questo momento in poi tutto suona nuovo, eppure nulla è cambiato: le giornate continuano a susseguirsi come prima ma, alla luce dell'evento storico scandito dalla voce, assumono una parvenza compiuta e aperta.
Il gioco si infittisce ed è tutto teso verso il compimento definitivo del "Sabato della Storia", una "Domenica senza tramonto" in cui tutto, anche il tempo, risulta eternamente ricapitolato.
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