Igor Stravinsky
Un maestro del novecento
Santa Maria Gualtieri
Orario continuato
PRESENTAZIONE
Igor Stravinsky
Un Maestro del Novecento
Questa Mostra didascalica, tramite la figura carismatica, simpatica e antieroica di Igor Stravinsky, mira ad esplorare i cambiamenti musicali, artistici e culturali del Novecento. Il grande cosmopolita russo ha attraversato tutto il secolo degli “ismi” artistici senza la problematicità di molta avanguardia, mai imprigionato da barriere ideologiche o preconcetti, quasi privo di quelle sovrastrutture intellettuali o sociali di cui molte personalità del secolo scorso hanno dovuto dotarsi per riuscire a far fronte alla violenza centrifuga di valori, idee, punti di riferimento affettivi, politici, religiosi, estetici.
Igor Stravinsky:
Igor
BIOGRAFIA
Igor Fëdorovič Stravinskij nasce nel giugno 1882 e vive infanzia e adoloscenza a San Pietroburgo. Benché cominci a studiare il pianoforte a nove anni e sia figlio di un cantante professionista, frequenta prima legge all'università, e comincia poi a dedicarsi seriamente alla composizione solo a partire dal 1903, anno in cui comincia a studiare con Nicolaj Rimskij-Korsakov, il più affermato compositore russo dell'epoca dopo Čajkovskij. Dei suoi primi lavori si può ricordare la Sinfonia in Mi bemolle (1907), e le due composizioni sinfoniche Fuochi d'artificio e Scherzo fantastico (1908). Proprio dopo l'esecuzione di queste opere gli viene presentato l'impresario, artista e antropologo Sergej Diaghilev, con il quale comincerà una collaborazione che porterà ai tre celebri balletti: L'uccello di fuoco (1910), Petrouschka (1911) e La sagra di primavera (1913), che conducono Stravinskij a Parigi e gli permettono di affermarsi in Europa. Chiusa la parentesi parigina si trasferisce sul lago di Ginevra. Qui scrive L'histoire du soldat (1918) e Piano Rag-Music (1919). Con il balletto Pulcinella (1919) inaugura il suo periodo "neoclassico", in cui riprende e rielabora modelli, forme e stilemi dei grandi compositori del passato. Di questo periodo sono il Concerto per pianoforte e orchestra (1929), l'oratorio Oedipus Rex (1927), la Sinfonia di salmi (1930) e la Carriera del libertino (1951). Nel 1939 si trasferisce in America. Al periodo "neoclassico" seguono le sperimentazioni con la tecnica seriale, cominciate nel 1952 con il Settimino e approfondite negli anni successivi con, tra gli altri, Canticum sacrum ad honorem Sancti Marci nominis per soli, coro e orchestra (1955), e il balletto Agon (1957). Muore nel 1971 a New York.
Il tempo di Igor Stravinskij
di Giovanni Albini
Le grandi personalità della storia dell'arte vivono una relazione singolare con il tempo a cui appartengono; si potrebbe dire che ne siano sospinti e che lo alimentino a loro volta. Stravisnkij, in questo senso, vive un rapporto unico con l'inquietudine della sua epoca: in tutta la sua produzione assorbe e reinventa il passato e la cultura che lo circonda, e li trasforma e li filtra secondo le esigenze oggettive del periodo in cui vive, di cui però è un interprete irripetibile. Dagli esordi dei balletti russi, attraversando il periodo neoclassico, fino agli approdi alle tecniche seriali, Stravisnkij matura, manipola, e trasforma il materiale musicale rispondendo alle pressioni estetiche del presente, facendole proprie, e contribuendo con esiti personalissimi. Ed è forse proprio questo che accomuna tutti i grandi compositori: l'essere immersi nelle necessità e nelle tensioni espressive e stilistiche della loro epoca, che conducono e da cui si lasciano condurre, contemporaneamente padri e figli del loro tempo. Volendo raccontare Stravinskij e il suo tempo credo che questa sia la chiave di lettura necessaria, e che sia anche proprio questo, fondamentalmente, il motivo principale dell'importanza della sua figura.
L'opera che impone Stravinskij sulla scena europea, e sicuramente la sua composizione più celebre, è il Sacre du Printemps, balletto coreografato da Vaslav Nijinskij, che rappresenta un rito pagano della Russia arcaica in cui si celebra l'arrivo della primavera con una cerimonia che culmina con il sacrificio di una vergine. L'opera è di un'audacia tale nei contenuti, nell'orchestrazione e nello stile che la sua prima rappresentazione al Théâtre des Champs-Élysées di Parigi del 29 maggio 1913 è un fiasco. La sensuale barbarità della scena, l'arditezza della strumentazione, di cui si fa simbolo quel fagotto teso nel registro acuto che apre da solo l'Introduzione, e la cui voce, per dirla con Casella, «sembra risuonare dal fondo di quella Russia preistorica», l'uso della dissonanza, la violenta asimmetria dei ritmi e l'aggressività delle masse sonore sconvolgono il pubblico parigino. Ma la novità non è limitata a questo. Proprio Stravinskij scriverà anni dopo: «mi si è considerato a torto un rivoluzionario. [...] La novità del Sacre du Printemps non stava nella scrittura, nell'orchestrazione o nell'apparato tecnico, bensì nell'essenza di questa musica.» Di fronte alla crisi del linguaggio tonale dell'inizio del Novecento Stravinskij riprende le forme e le tecniche della tradizione, le scarnifica, le decontestualizza e le ricombina sotto una luce nuova, giocando sui confini più estremi di una sintassi assodata. In qualche modo le nasconde nelle viscere dell'opera. Ad esempio Stravinskij ricava molto del materiale tematico dalle più lontane e arcaiche radici della musica folclorica slava, manipolandolo e riadattandolo, come se le origini venissero celate per operare la loro influenza negli strati strutturali e stilistici più profondi. Si intravede un'estetica collegata ad altri esiti culturali del primo Novecento, come la psicoanalisi freudiana e il cubismo; temi e tradizione sembrano agire dall'inconscio, e si presentano filtrati, caotici, in una simultaneità di vedute. Non solo quindi Stravinskij risponde ad una necessità espressiva e stilistica del suo tempo, ma lo fa senza rifiutare il passato, comprimendolo e al tempo stesso lasciandolo esplodere reinventato.
Ma se con il Sacre la tradizione e il passato rimangono sul fondo e agiscono dall'interno, con il passo successivo, che si inaugura nel 1919 con il Pulcinella, tradizione e passato vengono dichiaratamente esposti. Stravinskij, in quello che viene definito il suo periodo neoclassico, comincia a comporre sulle forme e sugli stili dei grandi maestri, da Pergolesi a Mozart, da Bach a Beethoven. Negli anni in cui si definisce la tecnica dodecafonica, in cui si affermano estetiche che si definiscono per negazione con il passato, Stravinskij non solo riprende la tradizione nei suoi monumenti più celebri e riconoscibili, ma ce li ricononsegna dissacrati, ricontestualizzati e rinnovati; come ha ben scritto Enrica Lisciani-Petrini, ci svela la loro «inesausta manipolabilità» e «inesauribile combinatorietà», ridandoci, questa volta per dirla con lo stesso Stravinskij, «la vita latente di quei tesori». La sua opera di questo periodo non ha però il sapore decadente e disincantato che si potrebbe immaginare, non è contraffazione, né tantomeno è un'operazione malinconica o, peggio, necrofila. «Conosco bene», scrive Stravinskij «la mentalità di quei conservatori e archivisti di musica che costituiscono gelosamente le loro intangibili carte, senza mai mettervi il naso, e non perdonano chi vogli rianimare la vita latente dei loro tesori che, per loro, sono cose morte e sacre.» É la gioia, ora coinvolta ora distaccata, di rompere i cristalli che sembravano imbrigliare quella bellezza del passato. «Ci sono ancora tanti pezzi da scrivere in Do maggiore».
E poi l'influsso del jazz, e l'incontro, negli ultimi anni della sua vita, con la tecnica seriale, con una capacità di riscoprirsi sempre lontano dagli schemi e dalle mode. Igor Fëdorovič Stravinskij attraversa il Novecento. Vive le sue contraddizioni e le esprime nella sua opera. Con il suo amore per l'artigianato e per l'empirismo regala soluzioni estetiche lontane dalle bandiere e dalle astrazioni concettuali. La sua è musica scritta spontaneamente, che assorbe le dinamiche più intense del passato e le tensioni che guardano al futuro, e che ancora oggi vive in quell'eterno presente in cui si collocano i classici della nostra cultura.
Pablo Picasso - Portrait of Igor Stravinsky
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